Facebook non è un organo di informazione. E anche l’eventuale reato di diffamazione, non può configurarsi come a mezzo stampa.
Lo ha sancito la quinta sezione della Corte di Cassazione, con sentenza numero 4873/17, respingendo il ricorso del procuratore della Repubblica di Imperia che aveva impugnato per “abnormità” l’ordinanza con cui il gip aveva riqualificato un fascicolo relativo agli “apprezzamenti” via Facebook pubblicati da un imputato catanese di 60 anni nei confronti di un terzo.
Facebook, fanno notare i giudici, è un mezzo capace di amplificare indefinitamente la diffamazione, ma il social network non può paradossalmente essere equiparato alla stampa, medium ormai molto meno pervasivo del web eppure perseguibile con sanzioni penali ben più gravi.
L’esclusione della legge 47/1948 di fatto dimezza la pena da 6 a 3 anni nel massimo e, come conseguenza, determina processualmente la citazione diretta a giudizio.
Due anni fa, ricorda Il Sole 24 Ore che per primo ha dato la notizia, le Sezioni unite, disegnando una “interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine stampa”, avevano ricompreso nel concetto le testate giornalistiche online, ma avevano anche aggiunto che “tale operazione ermeneutica non può riguardare in blocco tutti i nuovi media, informatici e telematici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, mailing list, e social) ma deve rimanere circoscritto a quei casi che, per i profili strutturale e finalistico, sono riconducibili al concetto di stampa: caratterizzata quest’ultima, in sostanza, dalla “professionalità” di chi scrivendo diffama.
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