di Luigi D’Alise
Nei primi dieci anni di uso di massa dei social, la teoria diffusa era che più le persone erano in grado di comunicare, più diventavano cordiali e comprensive.
Il risultato: un mondo più pacifico ed armonioso.
Oggi, a vent’anni dal debutto delle principali piattaforme, questa visione appare terribilmente ingenua.
Online ci sono masse di individui urlanti che si scontrano giorno e notte, annota Ian Leslie su The Guardian, in un articolo rilanciato dalla rivista Internazionale.
La tecnologia è solo in parte responsabile di un mondo pervaso da forme tossiche di disaccordo che non sappiamo gestire, in cui si offende e si è offesi costantemente, dove parliamo sempre di più e ascoltiamo sempre di meno.
Dove, non di rado, il grado di rabbia espressa è proporzionale a quello dell’incompetenza sugli argomenti trattati.
Un’enorme macchina per la produzione di fango e di reciproca antipatia.
Se stiamo diventando più polemici, è perché siamo ormai convinti che sia opportuno esprimere, su ogni cosa, le nostre opinioni.
Spesso non richieste.
Di frequente fuori luogo
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