di Giovanni Santaniello
“Un pezzo di storia se n’è andato”: con queste parole, il suo quotidiano, il Giornale, ha annunciato la morte di Silvio Berlusconi.
Nel bene e nel male, qualsiasi sia l’idea che ognuno di noi abbia maturato del Cavaliere, il titolo ha colto nel segno: ha fotografato un fatto. Berlusconi già da tempo aveva prenotato un posto nella storia italiana.
Fin dal lancio delle sue televisioni private che hanno rivoluzionato il nostro costume, ben prima della sua mitica discesa in campo in politica del 1994. Lo dimostra il fatto che Enzo Biagi, nella sua mitica “Storia d’Italia a fumetti”, lo aveva già descritto come un protagonista assoluto del nostro Paese nel 1986. Prima che diventasse tre volte premier, prima che segnasse gli ultimi trent’anni delle nostre istituzioni. Berlusconi è stato tante cose: un protagonista della politica, ma anche un numero uno nel campo dell’imprenditoria, uno dei presidenti più vincenti nella storia del calcio, uno degli uomini più influenti con il suo potere mediale.
Un innovatore e un pregiudicato; un leader e uno speculatore; un santo e un Caimano.
Ha incarnato le virtù e i difetti di un intero Paese che attorno alla sua figura si è spaccato. C’è chi lo ha amato e chi lo ha odiato. In ambo i casi, spesso, costruendo carriere personali. Viene, quindi, spontaneo chiedersi – ora che non c’è più – che cosa è destinato a restare del berlusconismo. “A ciascuno il suo”, ha giustamente riflettuto Will-Ita, un giornale che si pubblica su Instagram e che significativamente si rivolge a una platea di lettori giovanissimi, che hanno potuto conoscere Berlusconi solo negli anni del suo crepuscolo.
“A ciascuno il suo perché in Silvio Berlusconi ognuno di noi si è definito, ora per identificazione, ora per contrapposizione. Ora nelle luci, ora nelle ombre. Tra le rivoluzioni nell’edilizia, le tv, il calcio, la politica. E tra le condanne, il conflitto d’interessi, gli scandali”.
Will, per ricordare Berlusconi, ha deciso allora di citare Giorgio Gaber. E ha fatto bene. Perché ricorderemo il Cavaliere non tanto come “Berlusconi in sé”, ma come “Berlusconi in me”: un’idea di persona, personalità, imprenditoria, politica e atteggiamento nei confronti della vita con la quale ognuno di noi a un certo punto si è necessariamente confrontato. L’uomo che oggi non c’è più si è trasformato in un’idea con la quale abbiamo definito e continueremo a definire anche un po’ noi stessi.
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