Torna ai volumi del 2007 la base imprenditoriale italiana. Grazie al saldo attivo del terzo trimestre, pari a circa 20mila nuove unità, lo stock complessivo ha infatti raggiunto la quota di 6,1 milioni di imprese. Il dato è contenuto nella rilevazione trimestrale, diffusa oggi da Unioncamere e condotta da Infocamere a partire dai dati del registro delle imprese delle Camere di commercio. Il risultato è frutto di dinamiche contrapposte tra natalità e moratlità delle imprese, in rallentamento le prime e in aumento le seconde. Le 77.443 nuove iscrizioni rilevate nel trimestre estivo, infatti, sono state il 9,1 per cento in meno di quelle del corrispondente periodo del 2010, quando furono 85.220. A fronte di questo rallentamento, tra luglio e settembre le cessazioni hanno invece accelerato il passo, facendo segnare un valore di 57.610 unità, il 3,6 per cento in più del corrispondente trimestre dello scorso anno, quando furono 55.593. Il restingersi della forbice anagrafica delle imprese restituiisce un saldo trimestrale di 19.833 imprese, positivo ma inferiore del 33,1 per cento rispetto al corrispondente saldo rilevato nel 2010.
“Il bilancio tra aperture e chiusure di imprese resta attivo ma si va riducendo e questo è un segnale di allarme importante – ha commentato il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – A tirare la carretta in questo momento è l’export, quindi la priorità è rimettere a punto il sistema della promozione, valorizzando le competenze che ci sono già, come la rete della Camere di commercio italiane all’estero. Sul versante interno, per ridare slancio alla domanda occorre restituire capacità di spesa alle famiglie e spingere sulle liberalizzazioni, aprendo i mercati alle forze più innovative, alle donne e ai giovani, il patrimonio più prezioso che abbiamo per costruire il nostro futuro. Nell’impossibilità di agire abreve per ridurre il carico fiscale su imprese e lavoro bisogna comunque assicurare continuità al processo di semplificazione delle attività d’impresa e non far mancare il credito necessario a quelle più piccole, come le artigiane, oggi più in difficoltà delle altre”.
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