È appena uscito “Uomini, viaggi, ingredienti”, il libro intervista in cui lo chef Rino de Feo, napoletano di origine e cinese di adozione, si racconta al direttore dell’Ago Press, Luigi D’Alise.
Il volume, pubblicato da Areablu Edizioni, raccoglie un lungo dialogo ambientato tra Italia ed Estremo Oriente, corredato da un’appendice di venti ricette di altrettanti piatti che hanno reso lo “chef viaggiatore” famoso prima in Indonesia ed ora in Cina.
Il libro, impreziosito dalle fotografie di Giuseppe Di Capua, ripercorre la storia di questo cuoco partito dalla sua Castellammare di Stabia, la città delle terme incastonata nel Golfo di Napoli, alla volta della Repubblica Popolare Cinese, lo stato laico più popolato al mondo e dell’Indonesia, la comunità musulmana più numerosa del pianeta. Due posti da “evangelizzare” con l’unica religione che lui conosce: la cucina napoletana.
“Amo questi piatti perché rispettano i sapori e le tradizioni, due elementi che vincono sempre – spiega lo chef de Feo – Coniugo le antiche ricette con l’arte e i colori. Quando entri in sala e vedi la gente sorridere, i clienti che si complimentano per i tuoi piatti, ti carichi per sfide sempre più grandi, soprattutto con te stesso. Oggi in Cina, domani chissà. Sono sempre pronto a portare in giro per il mondo la valigia delle emozioni della mia terra. Questo lavoro è passione, e in ogni piatto c’è il cielo e il mare di Castellammare di Stabia, che ho sempre nel cuore. Non c’è fusion nei miei piatti. E da me non si usano bacchette, ma forchette e coltelli. Chi entra nei miei locali, entra in Italia. Anzi a Napoli, visto che si parla solo una lingua: il napoletano”.
Conosciuto in tutta la Cina, ospite d’onore in talk show televisivi ed eventi, de Feo è stato anche invitato dai vertici della sede cinese del famoso gruppo industriale tedesco di articoli sportivi, l’Adidas, a tenere una lezione sulla creatività davanti a centinaia di rappresentanti del management.
“La cucina è uno strumento attraverso cui far parlare un territorio. E quella di Rino racconta di terra e di mare, di uomini e sirene, di sfide e di traguardi – spiega Luigi D’Alise – Ma anche delle tante difficoltà incontrate da chef come lui che lavorano in paesi lontani, per reperire le materie prime. Per poi decidere di produrle da solo, trasformando le cucine in veri e propri laboratori. Ha ragione quando dice che il loro impegno non è da stelle, ma da Nobel”.
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