Si chiama nomofobia, ed è il timore ossessivo di non essere raggiungibili al cellulare. Una vera e propria dipendenza che, secondo gli esperti, colpisce maggiormente i giovani adulti con bassa autostima e problemi nelle relazioni sociali.
La nomofobia fa parte di una serie di dipendenze che si riferiscono a una vasta gamma di comportamenti disfunzionali e anomali quali il gioco d’azzardo patologico, la dipendenza da tv, da internet, lo shopping compulsivo, le dipendenze dalle relazioni affettive, le dipendenze dal lavoro e alcune devianze del comportamento. Per questo si può parlare di nomofobia quando una persona prova una paura sproporzionata di rimanere fuori dal contatto di rete mobile, al punto da sperimentare effetti fisici collaterali simili all’attacco di panico come mancanza di respiro, vertigini, tremori, sudorazione, battito cardiaco accelerato, dolore toracico, nausea.
Secondo i dati di uno studio dell’Università di Granada, la fascia di età in cui i sintomi si manifestano con maggiore frequenza è quella tra i 18 e i 25 anni. E un’altra ricerca, condotta dall’Università Federale di Rio de Janeiro, indica che la nomofobia è da considerare una dipendenza patologica piuttosto che un disturbo d’ansia. E nonostante ci siano all’attivo ancora un numero ridotto di ricerche sul tema, già nel 2014 gli italiani Nicola Luigi Bragazzi e Giovanni Del Puente, studiosi dell’Università di Genova, avevano proposto di inserire la Nomofobia nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.
Ma come si cura questa patologia? Uno studio della Scuola di Psicoterapia Erich Fromm, realizzata in occasione del XVIII Congresso Mondiale di Psichiatria Dinamica, in corso di svolgimento a Firenze, suggerisce che lo psicodramma è la terapia ideale per guarire da questa sindrome. Un approccio creativo che si manifesta con la messa in scena di una situazione attraverso verbalizzazione ed azione.
“L’abuso dei social network può portare all’isolamento come conseguenza della nomofobia – afferma Ezio Benelli, presidente del Congresso Mondiale di Psichiatria Dinamica e dell’International Foundation Erich Fromm -, ovvero la paura di perdere il collegamento dalla rete. L’utilizzo smodato e improprio del cellulare come di internet può provocare non solo enormi divari fra le persone, ma anche portarle a chiudersi in se stesse, sviluppare insicurezze relazionali o alimentare paura del rifiuto, a sentirsi inadeguate e bisognose di un supporto anche se esterno e fine a se stesso. Ma lo smartphone, se usato in modo appropriato e intelligente, può assolvere a tre importanti funzioni psicologiche: regola la distanza nella comunicazione e nelle relazioni, gestisce la solitudine e l’isolamento assumendo quasi il ruolo di antidepressivo multimediale e permette di vivere e dominare la realtà, regalando l’idea di poter essere presenti e capaci di fermare lo scorrere del tempo con uno o più scatti”.
“Questo fenomeno è in forte crescita – afferma Giuseppe Rombolà Corsini, psicologo e psicoterapeuta e vice direttore della Scuola di Psicoterapia Erich Fromm -. Questo tipo di tecnologie come lo smartphone sono psicoaffettive: alterano l’umore e scatenano sensazioni. Il fatto di poter ricevere un messaggio o una mail piacevole, ma non sapere quando la riceveremo, ci spinge a tenere in mano il cellulare continuamente. Quindi c’è un discorso di attesa, stimolo e gratificazione. Il cellulare non ha solo un utilità pratica, ma anche delle valenze affettive. Il problema è che queste persone non si rendono conto che il cellulare può essere uno strumento consolatorio e illusorio”.
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